Nel corso della sua crescita, da neonato ad adulto, l’individuo sviluppa gradualmente la capacità di percepire i sapori. Forse però non tutti sanno che con la lingua e il palato noi siamo in grado di percepire solo quattro sapori: dolce, salato, amaro e acido. Tutto il resto dipende dalla percezione olfattiva! Basta, infatti, pensare a quando abbiamo il raffreddore o il naso chiuso: non riusciamo a distinguere i sapori e perdiamo il gusto di mangiare!
Il primo sapore che percepiamo appena nati è il dolce: con la punta della lingua il neonato entra in contatto con il capezzolo della mamma e comincia a succhiare il latte che, anche se in modo molto delicato, possiede un sapore dolce. Questo è il motivo per cui il dolce viene associato a livello psicologico all’amore, agli affetti e al bisogno di coccole, perché ogni volta che entriamo in contatto con questo sapore siamo rimandati, in modo inconscio, al calore, alla vicinanza, alla sicurezza e alla “dolcezza” della mamma.
Durante il periodo in cui comincia a gattonare, a muoversi per il mondo in maniera per la prima volta più indipendente, il bambino sviluppa la percezione del sapore salato. Simbolicamente il salato rimanda alla curiosità, alla creatività, alla voglia di esplorare.
La percezione del sapore amaro compare solo più tardi, tra gli otto e i nove anni per le femmine e attorno ai dieci – undici per i maschi. In campo fitoterapico è stato dimostrato che le piante amarognole sono particolarmente adatte a livello epatico in quanto stimolano le funzioni del fegato. A livello psicologico l’emozione legata al fegato è il coraggio.
Il sapore acido viene generalmente considerato complementare agli altri. In caso di abuso di alimenti acidi ci si potrebbe trovare di fronte ad un caso di autolesionismo o vittimismo.
Nell’ultimo secolo la nostra alimentazione è molto peggiorata: l’abuso di zuccheri e cereali raffinati e il consumo di alimenti fortemente salati (salatini, patatine, snack) sono solo due esempi di un processo di degenerazione alimentare che ha provocato, come causa più rilevante, un grave impoverimento della nostra capacità di percepire i sapori. La cosa peggiore è che questo avviene così velocemente che già da bambini si ricerca continuamente un certo tipo di stimolazione gustativa, tanto da far risultare “schifosi” tutti quei cibi che non contengono esaltatori di sapidità o quintali di zucchero e sale. Da adulti le cose non cambiano e si finisce per mangiare sempre gli stessi alimenti, proprio quelli che ci garantiscono una stimolazione esagerata ed alterata delle nostre papille gustative e che poco hanno in comune con concetti come salutare e naturale. Questi cibi, a lungo andare, si trasformano in vere e proprie droghe, con tanto di crisi di astinenza che ci portano ad abbuffarci, guarda caso, sempre degli stessi alimenti.
Non siamo più capaci di ascoltare il nostro istinto, quello che ci ha garantito la sopravvivenza come specie, e quando crediamo di “avere voglia” di un certo cibo, in realtà stiamo solo assecondando i desideri di un organismo che non è più in grado di alimentarsi con quello che la natura gli offre o, peggio, stiamo seguendo passivamente i messaggi subliminali che televisione, radio e cartelloni pubblicitari ci gettano addosso.
E allora come possiamo fare per riappropriarci dei nostri veri sapori? Come riuscire ad ascoltare di nuovo la voce dell’intuito? Basta seguire semplici accorgimenti per un certo periodo così da disintossicarsi e riabituare gradualmente le nostre papille gustative.
Per prima cosa ricominciare a masticare. Mangiare masticando lentamente ci permette di riscoprire gusti dimenticati oltre che regolare il meccanismo della sazietà limitando l’introduzione di cibo nel nostro organismo. La sazietà, infatti, dipende da stimoli complessi e diversificati di ordine meccanico, chimico e termico i quali, per essere attivati, necessitano di un certo tempo: masticando bene si possono introdurre cibi per circa 100 calorie mentre mangiando in fretta si può introdurre cibo anche per 300-400 calorie.
Preferire sempre alimenti poco lavorati: più un cibo sarà mescolato con altre sostanze e sottoposto a processi di lavorazione complessi e più il nostro corpo faticherà a riconoscerne il potere nutrizionale. Scegliere alimenti freschi e stagionali e ridurre i conservati e i prodotti di serra.
Consumare frutta e verdura in abbondanza e utilizzare prevalentemente cereali integrali e non raffinati. Se è possibile, scegliere alimenti provenienti da agricoltura biologica o biodinamica, due tipi di coltivazione che rispettano l’ambiente e che non depauperano i suoli. Assicurarsi, in particolare, che i cereali integrali siano biologici: nella cariosside, cioè nello strato esterno del chicco, si concentrano i residui di pesticidi e concimi chimici utilizzati nell’agricoltura tradizionale, quindi gli alimenti integrali, che conservano questo strato, potrebbero essere a rischio se non biologici.
Introdurre quotidianamente cibi crudi: nella sua storia millenaria l’uomo ha cominciato a cuocere il cibo relativamente da poco. È importante sapere che qualsiasi trattamento termico sopra i 50°C distrugge gli enzimi presenti nell’alimento e fondamentali per favorirne la digestione.
Evitare gli eccessi di sale e zucchero industriale, i fritti e i grassi cotti, le sostanze chimiche come il monoglutammato di sodio, un esaltatore di sapidità presente nei dadi e nei cibi industriali pronti. Ma evitare anche i prodotti esotici che spingono i paesi del terzo mondo ad abbandonare o limitare coltivazioni secolari di cereali a favore di coltivazioni particolari che possano soddisfare le esigenze dei paesi ricchi.